Il 25 dicembre si avvicina, così inizio la serie di post con cui racconterò le storie delle mie sculture con un racconto di Natale. Nell’ anno nuovo prometto che scriverò di draghi e mondi incantati, di magia e amore, di Dèi e leggende, della forza del mare e degli elementi, di lontane e misteriose Terre Storte.
Racconto di Natale
di Giovannino Guareschi
In una manona il tepore di un Bambinello rosa
Si era oramai sotto Natale e bisognava tirar fuori d’urgenza dalla cassetta le statuette del presepe,
ripulirle, ritoccarle col colore, riparare le ammaccature. Ed era già tardi, ma don Camillo stava ancora lavorando in canonica. Senti bussare alla finestra e, poco dopo, andò ad aprire perché si trattava di Peppone.
Peppone si sedette mentre don Camillo riprendeva le sue faccende, e tutt’e due tacquero per un bel po’.
«Vecchio Dio!» esclamò a un tratto Peppone con rabbia.
«Non avevi altro posto che venire in canonica a bestemmiare?» si informò calmo don Camillo. «Non potevi bestemmiare mentre eri alla sede?»
«Non si può più neanche bestemmiare, in sede!» borbottò Peppone. «Perché, anche se uno bestemmia, deve dare delle spiegazioni.»
Don Camillo prese a ritoccare con la biacca la barba di San Giuseppe.
«In questo porco mondo un galantuomo non può più vivere!» esclamò Peppone dopo un po’.
«E cosa ti interessa?» domandò don Camillo. «Sei forse diventato un galantuomo?»
«Lo sono sempre stato.»
«Oh bella! Non l’avrei mai immaginato.»
Don Camillo continuò a ritoccare la barba di San Giuseppe. Poi passò a ritoccargli la veste.
C’è ancora il brutto giallo dell’uccisione del Pizzi da risolvere.
Tutti diffidano e hanno paura di tutti. Compreso Peppone, che teme di andar a finire in prigione, e sente il bisogno di confidarsi con qualcuno…
«Ne avete ancora per molto tempo?» si informò Peppone con ira.
«Se mi dài una mano, in poco si finisce.»
Peppone era meccanico e aveva mani grandi come badili e dita enormi che facevano fatica a piegarsi. Però, quando uno aveva un cronometro da accomodare, bisognava che andasse da Peppone. Perché è cosi, e sono proprio gli omoni grossi che son fatti per le cose piccolissime. Filettava la carrozzeria delle macchine e i raggi delle ruote dei barocci come uno del mestiere.
«Figuratevi! Adesso mi metto a pitturare i santi!» borbottò. «Non mi avete mica preso per il sagrestano!»
Don Camillo pescò in fondo alla cassetta e tirò su un affarino rosa, grosso quanto un passerotto, ed era proprio il Bambinello.
Peppone si trovò in mano la statuetta senza sapere come, e allora prese un pennellino e cominciò a lavorare di fino. Lui di qua è don Camillo di là della tavola, senza potersi vedere in faccia perché c’era, tra loro, il barbaglio della lucerna.
«È un mondo porco» disse Peppone. «Non ci si può fidare di nessuno, se uno vuoI dire qualcosa. Non mi fido neppure di me stesso.»
Don Camillo era assorbitissimo dal suo lavoro: c’era da rifare tutto il viso della Madonna. Roba fine.
«E di me ti fidi?» chiese don Camillo con indifferenza.
«Non lo so.»
«Prova a dirmi qualcosa, cosi vedi.»
Peppone fini gli occhi del Bambinello: la cosa più difficile. Poi rinfrescò il rosso delle piccole labbra. «Vorrei piantare li tutto» disse Peppone. «Ma non si può.»
…Peppone sospirò ancora.
«Mi sento come in galera» disse cupo.
«C’è sempre una porta per scappare da ogni galera di questa terra» rispose don Camillo. «Le galere sono soltanto per il corpo. E il corpo conta poco.»
Oramai il Bambinello era finito e, fresco di colore e così rosa e chiaro, pareva che brillasse in mezzo alla enorme mano scura di Peppone.
Peppone lo guardò e gli parve di sentir sulla palma il tepore di quel piccolo corpo. E dimenticò la galera.
Depose con delicatezza il Bambinello rosa sulla tavola e don Camillo gli mise vicino la Madonna.
«li mio bambino sta imparando la poesia di Natale» annunciò con fierezza Peppone. «Sento che tutte le sere sua madre gliela ripassa prima che si addormenti. E’ un fenomeno.»
«Lo so» ammise don Camillo. «Anche la poesia per il Vescovo l’aveva imparata a meraviglia.»
Peppone si irrigidì.
«Quella è stata una delle vostre più grosse mascalzonate!» esclamò. «Quella me la dovete pagare.»
«A pagare e a morire si fa sempre a tempo» ribatté don Camillo.
Poi, vicino alla Madonna curva sul Bambinello, pose la statua del somarello.
«Questo è il figlio di Peppone, questa la moglie di Peppone e questo Peppone» disse don Camillo toccando per ultimo il somarello.
«E questo è don Camillo!» esclamò Peppone prendendo la statuetta del bue e ponendola vicino al gruppo.
«Bah! Fra bestie ci si comprende sempre» concluse don Camillo.
Uscendo, Peppone si ritrovò nella cupa notte padana, ma oramai era tranquillissimo perché sentiva ancora nel cavo della mano il tepore del Bambinello rosa.
Poi udì risuonarsi all’orecchio le parole della poesia, che oramai sapeva a memoria.
«Quando, la sera della Vigilia, me la dirà, sarà una cosa magnifica!» si rallegrò. «Anche quando comanderà la democrazia proletaria, le poesie bisognerà lasciarle stare. Anzi, renderle obbligatorie!»