Giorni sospesi, impastati di argilla.

Giorni sospesi, impastati di argilla.

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Meno 15 al parto.

Se devo pensare agli ultimi giorni, li immagino con il rumore del tornio di sottofondo … quel “ron ron ron” ipnotico, argilla che gira, il vaso che pretende equilibrio, la calma.

Gli ultimi mesi sono volati, scivolati via, forse anche loro unti di olio di mandorle, come la mia pancia. Ora no, le ore sono più lunghe, le giornate dilatate.

Giorni di attesa questi, giorni in cui: “ogni momento è buono”, ma anche no.

Giorni dalle ore dilatate, dai pochi impegni e dalle profonde dormite.

Giorni dai lunghi abbracci con gli occhi impastati di sonno … dormire mi sembra l’unica cosa di cui ho bisogno.

Giorni di uno strano autunno primaverile: in giardino è sbocciata una rosa e i gatti che si rotolano al sole rientrano in casa con il pelo caldo.

Giorni in cui la mamma mi telefona quotidianamente, per sapere “come va?”; tutti sono in attesa insieme a me.

Vivo in uno strano equilibrio tra cose da finire e  altre di cui dovrei ricordarmi, ma che puntualmente mi dimentico: è come se il mio cervello stesse selezionando solo quello di cui devo realmente occuparmi, lasciando gli altri miei progetti in uno stato di torpore, in attesa.

L’agenda è sempre con me, segno le date di alcuni eventi a cui vorrei partecipare, scrivo le idee per il 2016, i nomi dei siti internet da andare a rivedere, numeri da chiamare … segno, ma non faccio altro, “che faccio signora, segno?” Si, grazie, ora va bene così, poi ripasso, rileggo, riguardo e ricomincio a pensare … non adesso, adesso sono sospesa tra l’essere una e l’essere due … e non so bene cosa succederà quando saremo due, non posso fare progetti, non prima di questo salto nel buio … o nella luce?

Oggi ho chiuso il forno, ci sono dentro alcuni lavori degli allievi, alcune commissioni e altre idee che ho avuto in queste settimane. Domani, 24 ore dopo, lo riaprirò … 24 ore sembravano tante, ma l’infornata più importante della mia vita ha richiesto 9 mesi.

Se tutto andrà bene, seguirà una giornata di smalti e un’ultima infornata di ceramica per rendere tutto scintillante e pronto per il lieto evento; e ancora pagine bianche dell’agenda, tornerò subito a lavorare al tornio? Avrò mille nuove idee da realizzare? Non so, non lo voglio sapere, ora mi basta concludere quello che ho iniziato, cerco un finale, un punto fermo, un respiro di sollievo prima di ripartire.

So solo che non smetterò di andare in laboratorio a Como, quello no, mi piace vedere gli allievi soddisfatti, con le mani sporche di argilla; mi piace che possano dare forma alle loro idee, mi sono affezionata a loro, ai loro progetti e non voglio trascurarli … venerdì una bambina mi ha detto: “si vede che ti piace il tuo lavoro, perché ridi sempre!”

Saranno gli ormoni, ma quasi mi sono commossa … è vero però, sto bene in laboratorio e mi fa bene starci, non chiuderò, porterò mia figlia con me e le insegnerò che si può anche ridere mentre si lavora.

Ieri volevo fare una cicogna di ceramica bianca, la immaginavo con il becco arancione scintillante e un piccolo sacchettino rosa. Invece no, per una volta lascio fare a Lui.

Anche lui, il papà, è sospeso in questi giorni; sospeso tra il lavoro e il battito del cuore ad ogni squillo di cellulare inatteso. La cicogna vuole costruirla lui, in legno … e io placidamente mi arrendo, non è da me, saranno gli ormoni, sarà il torpore dell’attesa o forse stiamo diventando più famiglia.

E il tornio gira, come la vita, servono ore di lavoro, ti fa arrabbiare, ti impasta le mani, certi giorni ti sporca fino ai gomiti; pretende calma, equilibrio, respiri profondi … ron ron ron ron …

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