Dal momento che subisco ancora gli effetti del cambio dell’ora, sono stranamente sveglia.
Colgo l’attimo e, invece di collassare a letto dopo una lunga giornata, scrivo due righe su questo bistrattato blog, che, come casa mia, avrebbe bisogno di una ripulita da muffa e ragnatele in vista della primavera.
Poco fa, sotto la doccia (l’unico momento di solitudine della mia giornata), pensavo al mese che sta finendo.
I momenti fondamentali di questo marzo sono stati scanditi da due giudizi, entrambi datemi da altri.
Uno positivo e uno negativo.
Andiamo con ordine:
All’inizio del mese ho ricevuto la risposta alla mia candidatura ad Argillà, la fiera della ceramica, che si svolge ogni due anni a Faenza.
Per candidarsi servono tre fotografie e la descrizione del proprio lavoro. Per essere selezionati non so ancora cosa serva culo, perché non mi hanno presa.
Fedeli al detto “nessuno è profeta in patria”, i miei colleghi Faentini mi hanno esclusa per la seconda volta dalla fiera.
Ci sono rimasta malissimo, inutile fingere.
Ho attraversato la fase: Non capiscono niente.
La fase: Sono una buona a nulla.
E infine: Non ci siamo capiti.
Poco tempo dopo ho sostenuto la prova di laurea. Dopo sei anni di passione e tenacia, sono arrivata al traguardo.
Poco tempo per scrivere la tesi che avrei voluto e gli ultimi esami non perfetti, perché studiare dopo la nascita di Maia è diventato complicato: ero rassegnata a non uscirne brillantemente.
110 e lode.
Ci sono rimasta malissimo.
Ho attraversato la fase: Sono pazzi.
La fase: Con una bambina e il pancione gli avrò fatto pena.
E infine: Non ci siamo capiti (questa volta, per fortuna).
Penso che si dia troppa importanza al giudizio altrui.
Realisticamente, cosa è cambiato nella mia vita dopo il rifiuto di Argillà? Niente.
E cosa è cambiato dopo il 110? Niente.
Beh, chiaro, la soddisfazione personale ha il suo peso, ma ormai mi considero una persona abbastanza anziana equilibrata da non far dipendere dagli altri l’opinione che ho di me.
Però ho capito una cosa:
Chi ci giudica non pensa le stesse cose che pensiamo noi, non entra nella nostra testa, non può capire quello che non siamo bravi ad esprimere e di certo non se lo può immaginare.
Parte del giudizio dipende dal come veniamo “interpretati”. Non quello che siamo, non quello che diciamo, ma come ci vede una giuria esterna che non ci conosce e che ha un vissuto personale, che ne influenza il giudizio.
La laurea è andata bene, sicuramente è passato l’impegno, nonostante io sapessi che avrei potuto fare meglio. Per fortuna, non sono entrati nella mia testa per verificare quante volte ho guardato una serie tv invece di studiare o revisionare la tesi.
Argillà è andata male, mea culpa, non ho saputo far passare il mio messaggio, quello che volevo esprimere.
Sono stata tentata, ma non cambierò il mio stile nella ceramica e quello che sono, per avere un giudizio diverso in futuro.
Sicuramente, però, cercherò di migliorare ancora, di essere ancora più me stessa, di studiare e migliorare, in modo che non ci sia bisogno di entrare nella mia testa per vedere la passione, per capire cosa voglio trasmettere, per capirmi.
Per dirla in poche parole:
“io non cerco di trasformare te in me, cerco di trasformare te in te”
Maestro Shifu – Kung Fu Panda 3
E tu? Ti stai trasformando in te?
P.S. La maglia a righe che ho nella foto non piace a nessuno. A me si, quindi la metto. E guai a chi giudica.
P.P.S, Questa foto è stata appena utilizzata da un collega senza il mio permesso. Le righe non piacciono solo a me.