Se dovessi dire qual è il più grande vantaggio e svantaggio di questi anni direi la connessione.
Siamo abituati bene, ed è magnifico, per certi versi.
Ho bisogno di avere informazioni? Posso averle subito.
Sto cercando un posto o un oggetto particolare? Mi basta cercarlo sul cellulare.
Voglio vedere un video? Subito.
Ho perso una puntata della serie TV preferita? La posso riguardare in streaming.
Mi serve urgentemente qualcosa? Spedizione in 24 ore e magari gratuita.
Bello. Tutto bello e comodo, ma in qualche modo, secondo me, sbagliato.
La cultura del tutto subito ci porta via la connessione con la realtà. Siamo connessi con tutto il mondo, ma lo siamo ancora con noi stessi e il luogo in cui viviamo?
Ci ricordiamo ancora di cercare il nostro equilibrio?
La ceramica mi costringe a pensare spesso alla lentezza e alla pazienza necessaria per ottenere un lavoro di qualità.
Non ci sono scorciatoie, si lavora nel qui e ora, e ottenere il risultato finale non è immediato.
Oggi, ad esempio, sto scalpitando perché sono molto curiosa di sapere come sono venuti i nuovi smalti, se mi segui su Instagram saprai che sto provando nuove ricette e che ho infornato ieri.
Si, ieri.
E oggi non ho ancora aperto il forno.
Ansia e attesa.
Sono passate quasi 24 ore e ne passeranno ancora: non ho intenzione di rischiare rotture aprendo il forno troppo presto e sottoponendo gli smalti ad uno shock termico sgradito.
Insomma, aspetterò, non c’è un’applicazione, non c’è una scorciatoia, bisogna aspettare.
Aspettare fa parte del processo e, spesso, il bello di ottenere qualcosa è l’attesa. Ci pensi mai all’attesa? Natale … è meglio la sera del 24 o la mattina del 25?
Quali sensazioni ci sta portando via il tutto subito – spedizione in 24 ore – on demand – sempre connesso?
Martedì scorso ho realizzato una brocca, molto carina, tonda.
Si sta seccando e, se va bene, la cuocerò la prossima settimana.
Poi la smalterò.
Poi aspetterò, ancora, più di 24 ore per vederla finita.
E il risultato potrebbe anche fare schifo.
Nella migliore delle ipotesi, mi saranno servite due settimane per una piccola brocca.
Nella peggiore, avrò imparato qualcosa e ne farò un’altra, diversa e probabilmente migliore, ma non lo saprò prima di due settimane (almeno).
Lunedì scorso, durante il corso di scultura, una ragazza dopo due ore ha perso la pazienza: non credeva ci volesse tanto tempo e io non glielo avevo detto chiaramente.
Mea culpa, mi sono molto interrogata sulla mia responsabilità. In effetti ho dato per scontato che fosse preparata ad ore di lavoro per un risultato incerto, ma non ho valutato il tempo in cui viviamo, quello a cui siamo abituati: tutto subito e bene.
Quando ho iniziato a fare scultura avevo 19 anni, il cellulare non esisteva e internet era per pochi, per chi aveva un computer ingombrante e lentissimo.
(Mioddio parlo come mia nonna e ho “solo” 42 anni!!!)
Io passavo dalle 6 alle 8 ore al giorno in cantina, a fare sculture; forse, se avessi avuto i mezzi di oggi, avrei passato più tempo online che a lavorare.
Magari online avrei guardato video di scultura eh, ma per migliorare bisogna fare.
E sbagliare. Sbagliare tanto. Usare il tempo per sbagliare.
A pensarci, sono stata fortunata a potermi concentrare così, ho fatto, provato, sbagliato, rifatto, buttato, pianto di frustrazione.
Ho fatto prove su prove, perché la risposta ai miei problemi, online, non c’era ancora.
Sicuramente c’è voluto più tempo, ma il tempo usato sbagliando mi ha dato la consapevolezza dei miei limiti, mi ha insegnato la pazienza e a non mollare se il risultato non arrivava subito.
Il tempo utilizzato per studiare, provare e sbagliare, cambia la percezione del valore dell’oggetto finito.
Anche questo si è perso, le cose non hanno valore perché sono immediate.
Fino a lunedì scorso, non mi ero mai soffermata a pensare a quante ore di modellazione ho passato da sola in cantina. Sono andata avanti così fino a 24 anni, poi sono andata a vivere da sola e, tra il lavoro e la casa, le ore di scultura si sono ridotte, ma mai azzerate.
Ricordo momenti in cui avevo una scultura a metà ed avevo talmente bisogno di lavorarci da puntare la sveglia alle 5.00 del mattino. Poi niente, andavo a lavorare in fabbrica.
Adesso i social occupano più tempo di quanto vorrei e forse è per questo che sogno un mondo meno connesso e più presente.
Mentre aspetto che il forno si raffreddi esco, guardo il mondo, respiro il bosco, approfitto della pausa di solitudine e penso.